martedì 14 luglio 2015

Io e l'immigrazione: le mie opere non parlano di niente altro che dell'immigrazione


L’immigrazione... la prima volta che ne ho sentito sentito parla­re frequentavo la terza media. Stavamo studiando la geografia, e ci parlavano degli uccelli migratori che partono da tutti angoli del mondo dove si muore di freddo per raggiungere gli angoli del mon­do dove invece fa caldo.
Qui restano per riprodursi e crescere i loro piccoli e ritornano quando finisce l’inverno. Una volta cresciuti faranno la stessa cosa quando arriverà anche per loro la stagione fredda. Sempre durante la lezione di geografia, ho sentito dire che quando i raccolti non sono abbondanti, dopo il periodo delle piogge, i giovani vanno nel­le città per cercare lavoro e quando tornano le piogge rientrano per coltivare le terre. In seguito ho sentito parlare dell’immigrazione al liceo, ma questa volta durante la lezione di storia. Dopo la guerra per molti era difficile sopravvivere, cosi alcune persone sono immi­grate alla ricerca di un lavoro e di un futuro migliore. Anche l’Italia nella sua storia ha conosciuto l’ immigrazione, solo che la terra dei sogni in quel caso era l’America.
La somiglianza tra l immigrazione africana e italiana è solo apparen­te. L’immigrazione dall’ Africa verso l’ Europa è il frutto d’una lunga speculazione, d’una colonizzazione che in realtà non ha mai avuto fine, da parte di paesi che si autoproclamano superiore agli altri.
Se guardiamo le cose dal punto di vista di chi lascia il proprio paese, ciò’ che motiva la partenza è la sopravvivenza, chi decide di partire non ha scelta perché a casa propria non è al sicuro. Immaginiamo una persona dentro una casa che prende fuoco al quinto piano d’un palazzo, cosa dovrebbe fare? Aspettare il vigile del fuoco? Il poliziotto? L’agente doganale che gli apre la porta e dopo avergli fatto firmare una montagna di carte finalmente gli dice “Ok, ora puoi salvarti esci pure!” No, quella persona, andrebbe più in fretta possibile dove non c’è il fuoco, cercherebbe solo di scappare dalla morte, senza pensare che anche la fuga stessa potrebbe portare alla stessa tragica conclusione. E proprio quello che succede con queste barche in cui tanti esseri umani muoiono tragicamente nel mare mediterraneo e sempre se ci penso la mia mente ripercorre questa toccante poesia d’un caro amico che anche lui è stato a Lampedusa:

SONO TANTE TANTISSIME LE SIRENE
CHE SI SENTONO DI SERA NEI MARI, MIGLIAIA SONO LE VOCI LONTANE DISPERATE CHE INVOCANO
AIUTO, BAMBINI E MAMME STRAZIATE DAL DOLORE SOFFOCATE E ANNEGATE IN ACQUE SALATE PIENE DI ODIO PER UN SOGNO CHE NON SARA’ MAI
PORTATO A TERMINE: L’UNICA SPERANZA DI UNA VITA SEMPLICEMENTE UN PO’ MENO DIFFICILE
E DISPERATA DA QUELLO DEL PROPRIO PAESE.......

FINO A QUANDO C’E’ IL RESPIRO DEL CORPO
E IL CUORE CHE BATTE
OGNUNO DI NOI HA IL DOVERE DI LOTTARE
PER LA PROPRIA TERRA, PER LA LIBERTA’
E PER LA DIGNITA’ E CONTRO TUTTE LE INGIUSTIZIE
PER UN MONDO MULTICOLORE SPEZZANDO
LE CATENE DELLA SCHIAVITU’


Mor Talla Seck

Nessun commento:

Posta un commento